viernes, 8 de mayo de 2015

USA: invariabilità della segregazione e della ribellione

Tito Pulsinelli, Selvas, 07/05/2015

Questa copertina fa una sintesi: continua la discriminazione razziale, regna inconstrastata la violenza con cui viene affrontata e repressa la ribellione. Oggi, come ieri, come nell'ormai lontano 1968. L'impunità degli uomini in uniforme, garantita dai funzionari in toga, spinge i rivoltosi a dire "vediamo il governo/Stato come un nemico, vogliamo reagire!".

Il 2015 registra l'invarianza della patologia strutturale che affligge la societá USA, aggravata dalla de-industrializzazione che ha reso "marginali" intere cittá. La crisi economica estremizzata, combinata a un'esclusione etnica di fondo, rende evanescente ogni "narrativa" istituzionale.

Soprattutto quella dell'integrazionismo, e ripropone in modo implosivo la virulenza di una società basata sulla stratificazione etnica gerarchizzata. Sia in alto che in basso. I soliti noti, continuano a stare esattamente negli spazi che -come comunitá- sono loro riservati. Le eccezioni individuali confermano la regola dell'ipocrisia liberal.
Più che l'inconsistenza e l'impostura del melting pot, è un dubbio dilagante a corrodere la coesione sociale e le radici ideologiche del sogno americano. Vacilla il mito che chiunque, basta che lo voglia, può diventare ricco. Ció spinge alla protesta di strada gli esclusi di sempre e le nuove reclute dei senza reddito e consumi. L'oligarchia che ha sempre disposto a piacimento degli USA come di una propria piattaforma territoriale -e mai come uno Stato-nazione federato- finora pagava il livello di vita della plebe con le abbondanti depredazioni d'oltremare.

Le armate, però, sotto una poco lungimirante dirigenza, ultimamente si sono infrascate in belligeranze in cui il bilancio pubblico ha moltiplicato solamente gli introiti del polo armamentista di Wall street e del Pentagono. L'interventismo di nuovo conio ha generato scarni bottini per la redistribuzione interna. La decrescita egemonica si manifesta persino nella paralizzante cacofonia concettuale sul "caos creativo". Sostanzialmente, però, si tratta di una sequenza di successi catastrofici. Successi relativi, diplomazia mediatica spasmodica, moltiplicazione dei problemi senza soluzione, catastrofe a medio termine.

Sul fronte interno Washington si prepara al peggio, e alla levità delle residuali garanzie giuridiche individuali sopravvissute all'11 di settembre, si appresta alla fase del controllo militarizzato del territorio. Il varo estivo di prolungate e articolate esercitazioni militari in ben otto Stati (Jade Helm 15), classificati come problematici o insufficientemente immuni all'eccessivo federalismo o separatismo, prelude al dispiegamento permanente delle truppe per garantire gli standard di governabilità nei tempi della carestia. Il governatore repubblicano del Texas G. Abbot ha lanciato il grido d'allarme. ordinando alla Guardia Nazionale di vigilare le sorprendenti manovre del Pentagono.

L'uccisione di  Freddie Gray, i moti di Fergusson, Baltimora, le proteste degli ebrei afro di origine etiopica a Tel Aviv, mostrano che -oltre la dimensione dell'ingiustizia economica, inequità o assenza del reddito- riemerge la negazione dell'esclusione e della segregazione territoriale urbana. Lo esprime bene un attivista comunitario di Occupy the Hood (Occupiamo il quartiere): "Non mi interessa diventare come il mio oppressore. Non voglio quel che possiede l'uomo bianco..voglio semplicemente muovermi liberamente in un mondo che sia mio come di chiunque altro...).
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