sábado, 2 de septiembre de 2017

Generale Wesley Clark: Le 7 (+3) guerre degli USA (Tito Pulsinelli, Selvas)

Tito Pulsinelli, Selvas, 26/07/2011

Vedasi anche:
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La próxima guerra: Irán en la mira
C'è anche chi vorrebbe una bella guerra! (articolo di Attilio Folliero del 1984)

Reinserisco questo articolo di Tito Pulsinelli del 2011. Nel marzo del 2007 avevo pubblicato un articolo simile nel sito de lapatriagrande.net. Fu appunto nel marzo del 2007 quando il Generale USA fece le rivelazioni nella sua famosa intervista.


L’ex generale Wesley Clark, comandante generale delle armate riunite della NATO che scatenarono la guerra nei Balcani, con bombe su Belgrado, distruzione dei cetri produttivi, infrastrutture civili e che sfociò nella consegna del potere potere in Kosovo ai narcos dell’UCK, oggi ammette tranquillamente che gli Stati Uniti avevano pianificato dieci anni fa la guerra contro 7 Paesi e i preparativi per metterne sotto mira altri 3. Era il 20 settembre, solo nove giorni dopo l’autogolpe delle torri gemelle, quando il ministro della difesa Rumsfeld gli rivela il folle piano del Pentagono.

Quando si sferrò l’attacco all’Afganistan, era già stata pianificata anche la distruzione degli Stati laici della Libia, Siria e Libano, oltre che della Somalia, e tutto doveva culminare con la guerra contro l’Iran e la demolizione progressiva del Pakistan. Oggi, si possono fare alcuni bilanci che testimoniano la evidente sopravalutazione delle capacità offensive degli Stati Uniti, anche quando è spalleggiato e finanziato dai vassalli europei della NATO.

Sfatato il mito sul potere di condurre vittoriosamente due guerre in due continenti diversi e la fede assoluta nella tecnologia che renderebbe “chirurgica” e inarrestabile la guerra “umanitarsista”. Kabul e Bagdad raccontano una realtà assai diversa dalla propaganda, con uno sforzo bellico della durata superiore a quello della seconda guerra mondiale: con risultati assolutamente incomparabili.
In Libano, “Piombo fuso” e le ondate di bombardamenti di Israele non sono riuscite a scalfire, tantomeno modificare la situazione, visto che è stata una sconfitta politico-militare: ritirate delle truppe d’invasione israeliane, ritorno al governo di Hezbollah. L’Iran è una chimera, per ora inattaccabile, grazie ai suoi missili in grado di colpire obiettivi militari di cui gli aggressori potrebbero disporre nel Mediterraneo e nel penisola araba.

Il Pakistan varca la soglia “effetto collaterale” afgano, ed  è ora sotto attacco terrorista e anti-terrorista; la Somalia è approdata alla carestia e fame, dopo una pianificata e prolungata disintegrazione progressiva di ogni forma di istituzionalità. L’estinzione indotta dello Stato, ha dapprima significato la perdita della sua sovranità marittima: da immondezzaio radioattivo alla presenza di flotte militari multinazionali che presidiano rotte strategiche nel crocevia di tre continenti.

In Siria è iniziata una intensa destabilizzazione con una guerra condotta -finora-. con “mezzi non militari”, combinando guerra mediatica e cellule dormienti stay behinde, vale a dire le Gladio locali, alimentate dai ceti collegati alle importazioni, speculazione borsistica e rendita parasitaria.

Della Libia non c’è molto da dire, visto che lo stesso ammiraglio Mullen, accigendosi a passare a ritiro, ha detto che “…le operazioni della NATO, sono ad un punto morto”. E a Tunisi ci sono stati i primi incontri diretti con gli inviati di Tripoli: trovare una via d’uscita, rinunciare al sogno di trangugiare con un solo boccone la Libia, ripiegare sull’amputazione territoriale, e vedere che cos’altro si può strappare oltre l’enclave di Bengasi.

E’ significativo, che Washington lascia al povero Rasmussen le incoerenti esternazioni di prammatica, ed anticipa Parigi e Londra nel tirare le somme d’una operazione bellica fallimentare.

Rimane sotto stretta osservazione il Venezuela, soprattutto ora che l’OPEC ha certificato che possiede circa 300miliardi di barili di petrolio, e che si tratta della prima riserva del mondo. Il recente annuncio di possibili sanzioni alla multinazionale petrolifera statale PDVSA, cozzano contradditoriamente con il fatto che gli Stati Uniti hanno aumentato le importazioni dal Paese sudamericano. Secondo la Camera di Commercio Venezuela-USA (Venancham), da gennaio a maggio del 2011, il Venezuela ha esportato 18,26 miliardi di dollari, con un incremento del 32,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Chi dipende da chi?

Il bilancio della ristrutturazione radicale del Medoriente secondo gli architetti del Pentagono non è positivo.E non si può ridurre tutto al fanatismo estremista di Rumesfeld&accoliti, visto che sono politiche di Stato perseguite sino ad oggi, anche da Obama e dai democratici.
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